Una sentenza storica destinata a far riflettere. Così, quella emessa dalla Corte d’Appello di Roma che ha condannato un veterinario al risarcimento del danno morale, oltre a quello patrimoniale, al proprietario di un cane, per aver causato la morte dell’animale con la sua condotta negligente. Nella sentenza si legge: “Non sembra dubitabile che la perdita di un animale d’affezione, specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo, comporti un pregiudizio non soltanto alla sfera emotivo-interiore, ma sia suscettibile di modificare e alterare le abitudini di vista e gli assetti relazioni del danneggiato“.
Stando a quanto emerso durante il giudizio, il cane in questione sarebbe deceduto in seguito all’ingestione di un osso che gli avrebbe causato un’occlusione dell’esofago con lacerazione dei tessuti e con un conseguente versamento di liquido. Una circostanza che, come confermato anche dall’appello, avrebbe potuto essere accertata anche con semplici esami clinici di routine, se il veterinario non avesse sbagliato diagnosi e, successivamente, non fosse stato in grado di correggere l’errore. In sostanza, se il medico avesse individuato il problema in modo rapido, probabilmente il cane oggi sarebbe ancora vivo.
#GIULEZAMPE, GLI ANIMALI NON SONO PIGNORABILI
La Corte d’Appello, inoltre, è stata anche chiara sulla parte del ricorso con cui si contestava il riconoscimento del danno morale, ritenendolo inesistente. Nel caso di un cane da compagnia, hanno scritto i giudici, è fin troppo noto come le abitudini dell’animale influiscano sulle abitudini del proprietario e come il legame che si instaura sia di un’intensità particolare, sicché affermare che “la sua perdita sia futile” non sembra più rispondere a una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori. Nelle parole della Corte vi è dunque il pieno e incontestabile riconoscimento del valore psicologico e affettivo della relazione uomo-animale, e ciò costituisce un importante passo avanti per tutti coloro che si stanno battendo affinché gli animali in genere e, soprattutto quelli da compagnia, vengano riconosciuti anche dalla nostra legislazione come esseri viventi a tutti gli effetti e non più equiparati a cose.
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