Dopo il disastro nucleare di Chernobyl diverse specie si sono ‘abituate’ a convivere con le radiazioni. Tra queste la rana nera che ha mostrato, negli anni, un’evoluzione particolare, derivata dal devastante impatto ambientale.
Chernobyl è, senza dubbio, l’incidente nucleare più grande della storia. Devastanti le conseguenze subite nel corso degli anni sugli esseri umani e sull’ambiente ad essi circostante. E dalle radiazioni non si sono salvate neanche diverse specie animali.
Di queste, molte si sono adattate nel percorso evolutivo alla ‘convivenza’ con le radiazioni. Le rane nere ne sono un esempio lampante. A dimostrarlo un recente studio scientifico che si è soffermato sugli anfibi e sulle alterazioni dovute alle radiazioni ionizzanti.
Dal 26 aprile del 1986, quando si verificò il più grande disastro nucleare con il rilascio di materiale radioattivo dalla centrale di Chernobyl, sono trascorsi 36 anni. Da quel momento la scienza non si è fermata dal studiare gli effetti di questo catastrofico incidente e diversi esperti hanno preso ad analizzare le specie che sono tornate a ripopolare l’area contaminata. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Evolutionary Applicants, ha analizzato il tipo di alterazioni registrate negli animali di Chernobyl; in questo caso le rane. La specie a catturare l’attenzione dei ricercatori è stata quella dall’insolita colorazione.
Si tratta della raganella orientale Hyla orientalis. Il suo tipico colore verde brillante non è stato riscontrato, infatti, tra i circa 200 esemplari prelevati in 12 siti della zona con i più alti livelli di radiazioni registrati. I ricercatori hanno notato che le raganelle orientali avevano una colorazione più scura (quasi nera) rispetto a quelle che vivevano fuori dalla zona osservata e contaminata. Di conseguenza, gli esperti hanno tenuto a precisare che la colorazione scura, per tutte le specie di esseri viventi (uomo compreso), serve a proteggere da diverse fonti di radiazioni neutralizzando i radicali liberi e riducendo i danni al DNA. In particolare, nello studio è specificato che la pigmentazione della melanina potrebbe essere una sorta di ‘meccanismo tampone‘. Ovvero un meccanismo in grado di limitare gli effetti delle radiazioni.
Giunti a questa conclusione, i ricercatori hanno ipotizzato che il colore scuro potrebbe essere proprio una risposta evolutiva all’esposizione degli ionizzanti. In questo modo, favorendo una pigmentazione più scura, le rane si sarebbero adattate e sarebbero riuscite a sopravvivere. Come ha commentato il coautore dello studio Germán Orizaola: “Il presente studio costituisce un passo avanti nel lavoro di ricerca sull’ecologia della zona di esclusione di Chernobyl. Inoltre, apre nuove linee di ricerca per esaminare il ruolo che la melanina può svolgere nella protezione dalle radiazioni. Con potenziali applicazioni che vanno dalle gestione delle scorie nucleari all’esplorazione spaziale”.
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