Si può dire che la presenza degli animali nel cinema risalga praticamente agli esordi del cinematografo; negli anni, i ‘pelosi’ protagonisti di tante pellicole, hanno via via assunto un significato sempre più profondo. ‘Animali-attori‘, che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo come vere icone dello star system; la cagnetta Lassie, per esempio, del film Torna a casa Lassie (1943) identificò, per molto tempo, con il suo nome la razza Collie. O potrebbe essere citato il caso del Jack Russel Uggie, noto per le sue performance nel film pluripremiato The Artist, per il quale fu richiesta l’inclusione nelle nomination degli Oscar.
Il cinema ha spesso tentato di umanizzare gli animali, trasformandoli in attori con caratteristiche e qualità umane, ma altrettanto spesso si è cercato di attribuire alle bestiole un significato metaforico; così, per esempio, il mulo parlante Francis (un film del 1950) si presenta con un’intelligenza superiore a quella umana. Un processo di antropomorfizzazione continuato negli anni e che ha spinto il mondo del cinema a rappresentare, non solo animali parlanti, ma anche pensati e ragionanti; il maialino Babe, dell’omonimo film degli anni ’90, ha dato, in tal senso, un’occasione agli animalisti (grazie alla sua realistica espressività) di denunciare il maltrattamento subito dai maiali negli allevamenti intensivi.
Proprio nel tentativo di attribuire agli animali un ruolo ‘umano’, sono diverse le occasioni in cui gli animali sono amici importanti per l’uomo; celebre è, in tal senso, il caso del film Hachiko, tratto da una storia vera. Ma umanizzare gli animali nel cinema è, anche, un mezzo attraverso il quale si possono rappresentare le qualità dell’uomo, siano esse positive o negative; così un filone, che ha preso avvio negli anni ’60, tende ad attribuire agli animali un valore fortemente simbolico rispetto alla relazione dell’uomo con il mondo che lo circonda. Esempi in tal senso potrebbero essere Au hazard Balthazar di Bresson, dove il povero asino, sottoposto a continui maltrattamenti da parte del proprietario, potrebbe rappresentare la virtù della sopportazione dinanzi alla malvagità umana; o la storia del gabbiano di Jonathan Livingston.
In film come King Kong, viene esaltato il lato ‘umano’ degli animali; il gorilla si innamora di una donna e per salvarla mette a rischio la sua vita, fino a perderla. Ma basta porre uno sguardo alla vasta produzione dei cartoni Walt Disney per cogliere i diversi aspetti dell’antropomorfizzazione degli animali nel cinema; in film come Dumbo o Bambi, ad esempio, fantasia e sentimenti creano un connubio che si rappresenta attraverso il superamento dei complessi (le orecchie grandi dell’elefante) e del lutto (la morte della mamma del cerbiatto).
La storia del cinema e il suo rapporto con gli animali si sono caricati nel corso degli anni anche di una forte valenza psicologica; in certi casi, gli animali sono presentati come l’alter ego o il gemello del proprietario; due gatti, in questo caso, possono fungere da esempi rappresentativi: il micio di Colazione da Tiffany e il micio di Una Strega in Paradiso. I due felini rispecchiano, infatti, gli animi misteriosi ed enigmatici dei personaggi interpretati da Audrey Hepburn e Kim Novak.
E rimanendo sul valore psicologico e rappresentativo degli animali nel cinema, uno sguardo, infine, anche alla parte più ‘oscura‘; la rivolta ‘metafisica’ de Gli Uccelli di Hitchcock è, per esempio, un gesto di ribellione contro l’uomo che non li accetta, scaturito dunque dall’atteggiamento avverso dell’essere umano e non dalla cattiveria degli animali. Alla luce di quanto detto, dunque, la relazione tra animali e cinema è una relazione forte che, attraverso storie esemplari, vuole sottolineare la capacità dei pets di potersi fare portavoce di valori importanti. Essi non mentono, non sono violenti, amano fino alla morte e in questo, forse, mostrano il loro lato migliore rispetto agli esseri umani.
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