Nella Chernobyl disabitata dopo il disastro nucleare vivono oltre 300 cani randagi, che soffrono il freddo polare e la carenza di cibo. Ma c’è chi li aiuta
Era il 1986 quando si verificò il disastro nucleare della centrale di Chernobyl. Sono passati oltre 30 anni e in quella parte dell’Ucraina non vive più nessuno, o quasi. Infatti nei boschi circostanti, insieme ad alci, linci, lepri, lupi, cavalli mongoli e orsi, ci sono anche oltre 300 cani randagi che vagano in cerca di cibo e di un riparo dalle intemperie, soprattutto dal grande freddo invernale. Tra questi c’è Tarzan, così lo ha chiamato una guida locale, un piccolo peloso, con pelo stropicciato e occhi gialli. Ha voglia di di giocare quando vede l’uomo che conosce, mentre si dimostra diffidente nei confronti degli sconosciuti. Sua madre è stata uccisa da un lupo.
La vita qui per i 4 zampe senza casa è difficile anche perché spesso portano un aumento dei livelli di radiazioni nella loro pelliccia e hanno un’aspettativa di vita ridotta. Pochi sopravvivono oltre i sei anni. Ma quelli che vivono vicino ai posti di blocco della zona hanno delle capanne fatte per loro dalle guardie, e alcuni sono abbastanza saggi da radunarsi vicino al caffè locale, avendo appreso che una presenza umana equivale al cibo. Queste “gang” canine fungono da “non ufficiali mascotte” di Chernobyl, lì per accogliere chi si ferma al Cafe Desyatka. I visitatori, tutti non turisti, che giungono lì li trovano carini, come ha detto Nadezhda Starodub, una guida locale, al The Guardian: “ma alcuni pensano che potrebbero essere contaminati e quindi evitare di toccarli”.
Mentre i cani ricevono cibo e giocano, a curarsi di loro c’è la Clean Futures Fund, un’organizzazione no profit statunitense che aiuta le comunità colpite da incidenti industriali e che ha creato tre cliniche veterinarie nella zona, tra cui una all’interno la centrale di Chernobyl. Queste strutture trattano le emergenze e rilasciano vaccinazioni contro rabbia, parvovirus, cimurro ed epatite. Lucas Hixson, coofondatore del fondo, afferma: “Il nostro obiettivo è ridurre la popolazione canina a una dimensione gestibile in modo da poter nutrire e fornire assistenza a lungo termine per loro“. Purtroppo non c’è salvezza per tutti quei randagi, ma almeno per quelli che ce la fanno delle garanzie sembrano poterci essere.
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