Condannato per stalking a 2 anni di prigione l’uomo che torturava e uccideva gatti, inviando anche video, foto e sms a chi gli aveva affidato gli animali
Due anni di reclusione per stalking. È questa la condanna inflitta al “killer dei gatti”, il quarantaduenne di Trescore Belneario, in provincia di Bergamo, che ha seviziato alcuni mici, da lui in precedenza adottati, inviando immagini delle torture agli ex proprietari, per poi uccidere le povere bestioline (LEGGI ANCHE: BERGAMO, IL KILLER DEI GATTI A PROCESSO).
M. F., queste le iniziali, è attualmente a processo per altre accuse simili, sempre nei confronti di felini. Tutto è iniziato dalle denuncia di una donna, vittima di messaggi ingiuriosi in cui l’accusato tramite Whatsapp o sms scriveva “strangolo i gatti che sono buoni per mangiare”, inviando anche ricette per cucinare gatti: “Per fare una teglia servono due animali adulti o dodici piccoli”. Ma non basta, l’uomo ha anche mandato una foto di un gatto torturato con la scritta “Olè” che ne annunciava la morte. L’imputato avrebbe anche spedito una quindicina di sms in un solo minuto.
Da qui è partito il ricorso alle via legali della donna, dando il là a un’indagine per stalking, a cui è quindi seguito il processo. Nel corso dei sopralluoghi effettuati nella sua abitazione erano stati trovati oggetti riconducibili presumibilmente alle sevizie che l’uomo perpetrava nei confronti dei cuccioli, in particolare cinture di accappatoi usate per legare le zampine dei gattini, lacci in alcuni casi disposti come cappio con i quali venivano soffocati.
M.F. aveva chiesto e ottenuto una perizia psichiatrica, effettuata dai consulenti della difesa Giulio Di Mizio e Michele Di Nunzio. Era stato attestato un disturbo della personalità: è capace di volere ma non di intendere. La sentenza, emessa dal giudice Massimiliano Magliacane, ha riconosciuto la seminfermità mentale dell’imputato, infiggendogli 48 mesi di prigione senza condizionale, un anno di libertà vigilata, 13.000 euro come risarcimento alla donna, con l’obbligo di farsi curare in una struttura ospedaliera. In attesa del nuovo processo.
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