Simone Sbaraglia è un fotografo naturalista, che ha realizzato shooting negli angoli più sperduti del pianeta, fotografando le specie animali più rare. Nella sua opera documenta la bellezza, l’armonia e la fragilità del nostro pianeta, nella speranza che possa essere preservato per le generazioni future. Viaggia continuamente nei cinque continenti e ha realizzato reportage sulle specie e gli ecosistemi a rischio in Nord e Sud America, Europa, Canada, Alaska, Africa ed Asia. Ha ottenuto i più importanti riconoscimenti internazionali e le sue foto sono state esposte in Italia, Francia, USA e Canada. In questa intervista esclusiva si racconta a Velvet Mag.
Come nasce la Sua passione per la fotografia?
Nel 2003 mi trovavo in viaggio in quella meraviglia che sono le Wave, al confine tra Utah e Arizona, scattai alcune fotografie e lì capii che non avrei più potuto fare a meno di essere un fotografo.
Che cos’è per Lei la fotografia?
La fotografia è il linguaggio che uso per comunicare le mie emozioni.
Come si diventa fotografo naturalista, che tipo di percorso si segue?
Ognuno ha un suo percorso personale, per me è stato un passo obbligato dedicarmi a ciò che era fonte di emozione e cercare di trasmettere queste emozioni al mondo intero. Fotografia e natura sono arrivate insieme e sono per me inscindibili. Quello che nel tempo è cambiato molto è il modo in cui organizzo il mio lavoro. Mentre prima, come fanno quasi tutti i fotografi di natura, portavo con me attrezzatura pesantissima, lunghi teleobiettivi, oggi prediligo le focali corte che ti costringono ad avvicinarti al soggetto.
Ha realizzato molti servizi in paradisi selvaggi, da quest’esperienze è nota la Sua mostra “A tu per tu con la natura”. In cosa consiste questo dialogo?
Questo progetto nasce proprio dall’evolversi del mio modo di fotografare. Oggi per me la priorità è essere più vicino possibile al soggetto, entrare in confidenza con l’animale ed essere parte dell’ambiente naturale che gentilmente mi ospita e mi permette di essere appunto “a tu per tu” con il tutto.
Qual è stata la Sua esperienza più significativa nei viaggi che ha intrapreso sinora a scopo fotografico?
Il mio reportage sull’Everglades in Florida. Lì ho capito quanto l’uomo possa essere distruttivo per la natura e di conseguenza per se stesso. La distruzione delle Everglades ha cambiato il clima dell’intero stato della Florida. Vedere uomini impegnati in un progetto di salvaguardia volto a ripristinare una situazione talmente compromessa che difficilmente andrà a buon fine, mi ha fatto capire quale doveva essere la direzione del mio lavoro. Lì è nata la mia voglia di diffondere la bellezza del mondo naturale. Bellezza intesa come armonia e amore. Cercare di sensibilizzare più persone possibile facendo leva sulla nostra ancestrale appartenenza al mondo naturale sperando che ognuno sviluppi la consapevolezza di volerlo proteggere.
Come si fotografa un animale selvatico?
Questa è forse la domanda che mi è stata rivolta più volte in assoluto da quando faccio questo lavoro e la risposta è sempre la stessa: non c’è un segreto, ognuno ha il suo modo di approcciarsi. Io studio ogni specie moltissimo prima di intraprendere un viaggio e quando sono lì non mi mimetizzo mai, non voglio nascondermi, piuttosto voglio essere accettato e quindi cerco di stabilire un contatto, solo quando mi rendo conto che sono stato accettato posso iniziare a fotografare.
Ultimamente è stato in Kenya in Congo e in altri Paesi dove ha realizzato importanti servizi fotografici, che rappresentano un viaggio in mondi inesplorati, come ha vissuto questa esperienza?
Ogni viaggio rappresenta un’esperienza diversa, in Congo sono andato per fotografare le eruzioni spettacolari del vulcano Nyragongo, ma l’esperienza più forte è stato il percorso per poterci arrivare, attraversando tre stati africani scortato per un lungo tratto dai caschi blu dell’ONU.
Gli animali più particolari che ha fotografato nei Suoi viaggi?
Non è semplice rispondere a queste domanda, dovremmo capire di quali particolarità vogliamo parlare. I maschi dei babbuini gelada dei monti Simien in Etiopia ad esempio hanno una macchia scarlatta sul petto che assume un colore molto intenso nel maschio dominante e scolorisce in poche ore quando subentra un nuovo dominante, le gru giapponesi praticano un’antica e delicata danza di corteggiamento, le scimmie nasiche con la loro “proboscide” sono uniche al mondo, il comportamento estremamente confidente dei macachi neri di Sulawesi e molto particolare… direi che ogni specie animale ha le sue peculiarità.
Ha un aneddoto relativo al suo “incontro ravvicinato” con gli animali selvatici che ha fotografato?
Ci sono tanti momenti da raccontare, ma nel cuore ho il mio viaggio a Sulawesi per fotografare i macachi neri, specie ad altissimo rischio d’estinzione, ho vissuto per tre settimane seguendo lo stesso branco. I primi giorni, al mio arrivo la mattina queste graziose scimmiette scappavano via, andandosi a nascondere fra gli alberi, ma pian piano, con il passare dei giorni, si sono abituate alla mia presenza fino a considerarmi uno di loro. L’emozione più grande l’ho vissuta dopo qualche giorno quando un giovane maschio, tra l’altro con una mano invalidata da una tagliola, vedendomi arrivare è sceso dal suo ramo per venirmi in braccio, dandomi delle pacche sulla spalla in segno di amicizia e accettazione.
Qual è la giornata tipo di un fotografo naturalista?
La mia giornata fotografica inizia la mattina prima dell’alba e finisce subito dopo il tramonto. A seconda del posto dove mi trovo dovrò percorrere svariati chilometri oppure restare in osservazione per molte ore. In ogni caso l’obiettivo è fotografare!
Quando realizza uno shooting segue un obiettivo preciso o si fa guidare dall’istinto?
Poche volte nella vita l’istinto mi ha guidato, direi che a monte di ogni lavoro ben svolto, non solo nel mondo della fotografia, c’è il prefiggersi degli obiettivi e la pianificazione del lavoro che servirà a raggiungere quegli obiettivi.
Oltre all’attività “sul campo”, si dedica anche all’insegnamento. Nei Suoi workshop fotografici, qual è il primo messaggio che cerca di trasmettere ai suoi allievi?
La fotografia è un linguaggio, la fotografia è emozione, la fotografia è comunicazione.
Ultimamente ha creato un calendario in collaborazione con la LAV dedicato agli sguardi intensi degli animali salvati dall’Associazione, cosa trasmettono gli occhi di questi animali?
Sono abituato allo sguardo degli animali, ma il mio lavoro normalmente si svolge in habitat incontaminati, dove gli animali, ignari del pericolo di estinzione che li minaccia, vivono la migliore delle vite a loro concessa. Negli occhi degli animali di Semproniano è vivo il ricordo della sofferenza da cui la LAV li ha liberati per sempre. La sfida è stata quella di rappresentare la bellezza della rinascita che per loro è iniziata il giorno che LAV li ha portati qui!
Qual è la meta che desidera ancora esplorare?
L’Antartide.
Progetti futuri?
L’Antartide.
Photo Credits: Press Office Simone Sbaraglia Photography
Sei il proprietario di un gatto anziano che vive in casa? Attenzione a questi malattie…
A quali sintomi e a quali malattie stare attenti se sei un proprietario di un…
Sarà capitato a tutti di vedere, e sentire, un cane sospirare mentre si trova in…
Il movimento del nastro giallo: mettere sul collare del cane questo colore trasmette un messaggio…
Bonus animali domestici: una novità importante iniziata nel 2024 che consente di risparmiare qualcosina per…
Gli squali vanno via e cambiano "casa" le conseguenze del cambiamento climatico sulle barriere coralline…