Circa un mese fa un cane randagio è stato ucciso a bastonate e poi impiccato da 4 ragazzi della provincia di Cosenza che hanno anche filmato la scena e postato il video sui social
Lo hanno chiamato Angelo, ma un nome in realtà quel cane non ce lo aveva. Era un randagio come tanti, che vagava nella zona di Sangineto, piccolo (anzi piccolissimo) comune della provincia di Cosenza, in Calabria, che conta poco più di mille anime. Un randagio, quindi, che nella sua vita già solitaria è stato così sfortunato da incontrare anche 4 ragazzi senza nessun rispetto per la vita altrui.
Sono stati loro a prenderlo e a seviziarlo, colpirlo con le mazze ferrate mentre lui scodinzolava chiedendo un po’ di pietà. Poi, non contenti, lo hanno impiccato. Finché non è crollato giù esanime. Non solo, perché hanno anche ripreso la scena col telefonino e poi diffuso il video via social. Dopo le segnalazioni del caso, quel filmato orrendo è stato cancellato e quei ragazzi “normali” che in molti definiscono veri e propri assassini, sono finiti nelle mani prima dei carabinieri e dopo della giustizia. Per loro si chiede una pena esemplare.
In tanti, infatti, sono scesi in piazza solo poche ore fa prima a Sangineto e poi anche a Roma, per chiedere di non dimenticare Angelo, di non lasciare impunita quella morte. In attesa del processo, per cui i 4 giovani rischiano pene da 4 mesi a 2 anni (o una multa da 5mila a 30mila euro), in difesa di 2 degli imputati è intervenuto il loro avvocato, Alessandro Gaeta: ” “I due ragazzi che assisto – ha detto ai microfoni di una radio locale – stanno seguendo un percorso con uno psicologo molto in gamba che si occupa di problematiche di soggetti giovani. Loro con molto impegno stanno seguendo questo percorso”.
Secondo il legale non si rendevano bene conto di cosa stavano facendo o di dove sarebbero arrivati. Ma per chi ha avuto la possibilità di visionare il video, sembra improbabile che le cose siano andate realmente così. Ora, per Angelo, è nata anche una petizione sulla piattaforma Change.org e la sua immagine è diventata un simbolo per molte associazioni.
Ma, come sempre accade, c’è un “ma” e tanti interrogativi aperti che lasciano, se possibile, la bocca ancora più amara: perché c’è bisogno di arrivare a questo per affrontare seriamente la questione dei maltrattamenti o del randagismo, davvero troppo diffuso soprattutto nel Sud Italia?
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