Bambini accuditi da animali della giungla e cresciuti con imprinting non umano, non sono solo dei racconti per bambini o leggende metropolitane, ma storie realmente accadute.
Sin dal XIV secolo vi sono testimonianze di storie di esseri umani in condizioni estreme aiutati e allevati dagli animali. Bambini fuggiti da famiglie disagiate o dispersi accidentalmente sono i protagonisti di incredibili vicende di sopravvivenza, simili ai romanzi Tarzan o Mowgli. Molti non conoscono la storia delle due bambine-lupo, ritrovate negli anni ’20 in India in una tana di lupi. Amala e Kamala – questi furono i nomi che furono dati alle due piccole – avevano 1 e 8 anni e camminavano e correvano esclusivamente sui quattro arti, in quanto erano state allevate dal branco, di cui avevano assimilato le movenze e il modo di difendersi e di procurarsi il cibo.
Purtroppo, durante il ritrovamento da parte degli umani, fu annientato l’intero branco, pronto a difenderle dall’attacco. Circa un anno dopo, la bambina più piccola si ammalò a causa di alcuni parassiti intestinali provocati dalla precedente dieta carnivora, mentre Kamala fu accudita dalla famiglia Singh, proseguendo la sua vita con cure riabilitative per altri 9 anni fino alla sua morte. Un caso simile è quello di Marina Chapman, la bambina allevata per cinque anni dalle scimmie cappuccine nella foresta colombiana probabilmente negli anni Cinquanta.
Un’altra storia incredibile è il famoso ritrovamento, nel 1960 nel Sahara Spagnolo, del “bambino-gazzella”, che fu oggetto di studio di Jean Claude Armen. Il ragazzo, abbandonato in circostanze misteriose, era riuscito a sopravvivere ai pericoli della natura probabilmente grazie alla cura delle gazzelle. I ricercatori non hanno prelevato il ragazzo dal branco, per evitargli traumi nell’impatto con il mondo esterno, e tre anni dopo lo studioso francese, ritornato sul posto, trovò il ragazzo in buona salute e perfettamente integrato nel branco animale.
In epoca più recente, nel 2009, i casi più eclatanti sono la storia di Andrej Tolstikh, un bambino siberiano, abbandonato dai genitori, che è stato allevato per anni dal cane di casa e il caso di Natasha, una bambina di 5 anni, trattata per anni come i cani e gatti di cui condivideva l’ambiente, nonostante avesse dei genitori. Natasha non aveva mai imparato a parlare e comunicava unicamente attraverso i versi degli animali con i quali aveva convissuto. Altri casi sono la storia di un bambino allattato da un cane femmina in Cile, in un’officina meccanica ad Arica, nell’estremo settentrione del paese.
Queste storie, che hanno davvero dell’incredibile, fanno capire che gli animali conservano sempre, in ogni circostanza, l’istinto di accudimento dei piccoli, a prescindere dalla specie. Riguardo al tema dell’imprinting, Anna Ludovico, autrice del libro Anima e corpo. I ragazzi selvaggi alle origini della conoscenza spiega: Lo studio dei bambini selvaggi ci porta alla scomoda considerazione che, senza il linguaggio verbale, che ci viene dato dall’ambiente sociale in cui viviamo, viene meno la più importante caratteristica della nostra specie, vale a dire la possibilità di pensare in modo astratto. Questi casi ci dicono quindi che, in un certo senso, esseri umani si diventa, non si nasce.
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