Curare cani, gatti, conigli o quant’altro è molto costoso. Anzi, sempre più costoso. Ne avevamo parlato già qualche tempo fa: un qualunque farmaco a uso veterinario costa almeno il doppio di uno umano, anche a parità di principio attivo. Un discorso che riguarda anche (e soprattutto) le medicine di “base”, come una normale gastroprotettore per cani, ad esempio, che può arrivare a costare anche più di 16 euro. Senza contare che i medici degli animali devono prescrivere (per legge) solo medicine veterinarie (a meno che non esistano).
E, di recente, sono proprio i veterinari (o almeno una parte di essi) che hanno deciso di firmare una lettera aperta destinata all’Aisa (il consorzio delle aziende italiane e delle multinazionali farmacologiche del mercato della salute animale) e al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per chiedere di intervenire su questo “caro-prezzi”, soprattutto in un momento difficile come quello che il nostro Paese sta attraversando. “Negli ultimi anni sono entrati in commercio numerosi farmaci, per uso veterinario, con proprietà antidolorifica e antiinfiammatoria (cosiddetti “painkiller”) – si legge nel testo pubblicato sulla sua pagina Facebook dal dottor Oscar Grazioli, esperto di anestesia e terapia del dolore, tra i promotori dell’iniziativa – e questo dato, apparentemente positivo, comporta invece una situazione drammatica, qualora se ne prenda in considerazione il costo rispetto agli omologhi per uso umano. Si citano alcuni principi attivi solo in via esemplificativa. Il Meloxicam (uno dei più usati), per uso veterinario, costa 20 volte in più rispetto a quello per uso umano. Il Ketoprofene costa addirittura 90 volte di più. Venendo agli oppioidi (morfina e suoi derivati), usati soprattutto per il controllo del dolore chirurgico, essi costano dalle 3 alle 5 volte in più rispetto agli omologhi per uso umano“.
Ovviamente, tutto ciò ha e sta creando notevoli ostacoli alla terapia del dolore, giustamente definito “un cardine assoluto e imprescindibile della medicina veterinaria“. Anche perché gli animali, a differenza dell’uomo, non possono capire che il dolore che provano in quel momento è transitorio e che può essere sopportato. “I loro meccanismi psicologici – si legge ne testo – li inducono a percepire il dolore come una punizione a causa di un comportamento sbagliato, meccanismo che può sfociare, in caso di dolore cronico non controllato, anche in episodi di aggressività“. Secondo questi dottori, quindi, la conclusione è che lasciare gli animali nella sofferenza (e i proprietari nell’ansia di non poter dare loro le cure necessarie) è: “inaccettabile per un paese che si definisce avanzato e civile“. Noi non possiamo che essere d’accordo. Cosa risponderanno ora Aisa e Governo?
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