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Leone Cecil, il dentista-killer riapre lo studio: “Ho agito legalmente e la vita deve continuare”

I primi di luglio di quest’anno il leone Cecil è stato brutalmente assassinato da un dentista americano, Walter James Palmer. La storia di quello che è stato definito un vero e proprio “animalicidio” e per cui 2 uomini sono già stati condannati in patria ha scosso l’opinione pubblica mondiale, per il modo in cui la vicenda si è svolta e per il killer: un medico di una cittadina del Minnesota, una persona tranquilla se non fosse per quella “passione” per la caccia, soprattutto di animali esotici. Una “passione” costosa, se si pensa che questi tour costano in media tra i 20mila ai 50mila dollari. E proprio Palmer in una lunga intervista all’agenzia Associated Press è tornato a parlare della vicenda.

Lo Zimbabwe è sempre stato per me un paese meraviglioso in cui andare a caccia ed io ho sempre rispettato le leggi – ha detto – Se avessi saputo che questo leone aveva un nome ed era importante per il Paese o uno studio, naturalmente non l’avrei ucciso“. In sostanza, la difesa del dentista è proprio questa: non sapeva che Cecil fosse famoso nel Parco nazionale Hwange, né oggetto di studio da parte dell’università di Oxford, altrimenti non lo avrebbe ucciso. Ma qualcosa nelle sue dichiarazioni stona. Secondo Theo Bronkhorst, un cacciatore professionista che ha aiutato Palmer (e che è stato accusato di “non aver evitato la caccia illegale”) era stato colpito prima da una freccia, poi aveva vagato ferito per circa 40 ore prima di essere finito con un colpo di fucile.

Ma Palmer sostiene di non avergli mai sparato, anzi di averlo finito il giorno dopo e con un’altra freccia. Ma la sua parola sembra essere quantomeno discutibile, visti anche i suoi precedenti: già nel 2006 Palmer tentò di corrompere due guide, offrendo loro 20mila dollari, perché lo coprissero per l’uccisione illegale di un orso bruno nel nord del Wisconsin. Queste dichiarazioni di Palmer, inoltre, arrivano proprio nel giorno in cui riapre il suo studio dentistico: “Ho molte persone che lavorano con me e sono dispiaciuto di aver rovinato la loro vita. Io sono un professionista del settore e ho bisogno di tornare dal mio staff e dai miei pazienti, e loro vogliono che io torni. Questo è il motivo della mia decisione“. Ma davvero esistono ancora persone disposte a farsi curare da lui? Nel frattempo, lo Zimbabwe ha presentato una richiesta d’estradizione, ma almeno per il momento il governo statunitense non ha preso una decisione.

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Redazione

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