Prendere a calci un cane non è un reato. E’ questo ciò che si evince dalla vicenda che vede coinvolto un edicolante milanese colpevole di aver colpito ripetutamente un bassotto che aveva fatto la pipì sul suo espositore dei giornali. L’uomo denunciato immediatamente dal proprietario della bestiola, era finito sotto processo per il reato di maltrattamento di animali, ma ora è stato prosciolto dal Tribunale di Milano. Sapete perché? Perché per il suo caso sono state applicate le nuove norme sulla non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, introdotte lo scorso marzo dal discusso decreto Renzi.
Era il 10 ottobre del 2011 quando il cagnolino stava passeggiando al guinzaglio con il suo umano, quando passando di fronte a un’edicola, ha deciso di fare la pipì proprio su una pila di riviste. Il giornalaio si è infuriato a tal punto che non solo ha inveito con il proprietario, ma ha anche deciso di prendere a calci l’animale, scaraventandolo ad alcuni metri di distanza e causandogli, stando ai referti del veterinario, forti dolori “lungo tutta la colonna vertebrale” e un “evidente stato di shock“.
CHI LASCIA IL CANE TROPPO SOLO E’ COLPEVOLE DI MALTRATTAMENTO
Eppure, stando a quanto riporta l’Ansa, per il giudice della quarta sezione penale, Marco Tremolada, l’imputato può essere dichiarato “non punibile per particolare tenuità del fatto” perché “ha sì posto in essere una condotta lesiva nei confronti del cane della persona offesa, ma non ha utilizzato né armi o altri strumenti di particolare lesività“. O, meglio, calci e pugni sì, bastoni no. Nelle motivazioni, inoltre, Tremolada ha sottolineato che “si è trattato di un gesto condizionato dalle circostanze”. Insomma, nessuna azione premeditata, quindi, “né animata dalla diretta volontà di ledere l’animale” e in più per il giudice il cane non ha “riportato lesioni gravi“. Certo, il cane non è morto. Certo, l’uomo ha agito di impulso. Ma non dovrebbe essere permesso a nessuno essere umano di scaricare la propria rabbia su di un cane, un gatto o qualsiasi altro animale. E dopo una sentenza del genere ci si chiede: dove arriveremo?
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