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Il dog coach Angelo Vaira si racconta: “Dovete pensare come pensa un cane”

Qualche giorno fa abbiamo parlato di lui a proposito del metodo della copertina magica, capace di rendere tranquilli anche i cani più agitati. Ma chi è il dog coach televisivo Angelo Vaira, classe 1975, e come è nata la sua passione per gli animali? Ecco cosa ci ha raccontato.

Si ricorda qual è stato il suo primo animale domestico?
Pesci d’acquario, li volle mio padre e io li osservavo affascinato. Ma il primo animale a cui mi sono legato davvero è stato Cip, un canarino. Alla sua morte gli abbiamo fatto un piccolo funerale con tanto di sepoltura. Avevo sette anni. Poi c’è stato un gatto, Max. Mantello grigio e occhi gialli come oro. Quando i miei lo hanno adottatto io e mio fratello siamo tornati da scuola correndo, perché sapevamo che a casa avevamo finalmente un quattro zampe. Se ne andava in giro per casa con la coda ritta, curioso e impertinente. Lo abbiamo amato molto.

E cani?
Cani niente, i miei mi dicevano: “quando ti sposi te ne trovi una che ami i cani e ne avrai quanti ne vuoi”. Così io ho passato il tempo ad occuparmi di randagi, fino a quando ho incontrato Lucky, il mio grande maestro canino.

Quando ha capito che voleva trasformare il suo amore per gli animali in un vero lavoro?
A otto anni, mentre leggevo un libro sul pastore tedesco. Ero talmente appassionato che ne ricopiavo su un quaderno i passi che più mi piacevano. Scoprii allora dell’esistenza di questa figura: l’addestratore. Così mi dicevo: “chissà se un giorno anch’io…”

Lei si definisce un “agevolatore della relazione con il cane”, può spiegare meglio cosa intende?
Col tempo il mio lavoro si è evoluto. I clienti venivano da me per educare il loro cane o risolvere problemi comportamentali, ma quello di cui mi accorgevo è che tutti loro avevano uno scopo più alto: desideravano una grande intesa col loro amico peloso. Volevano un “rapporto speciale”. E questo vibrava molto bene con le mie corde. Così ho dato vita a un campo di ricerca che non si focalizzasse sul comportamento del cane, ma sulla relazione. E questo, paradossalmente, ha reso più facile educazione e riabilitazione comportamentale, dando contemporaneamente più significato all’incontro col cane.

In che modo?
La relazione, perché diventi speciale, può essere aiutata, facilitata, agevolata da un esperto, uno che conosca bene la mente e la biologia del cane come quella dell’essere umano e cosa scaturisce dal loro incontro. Questo esperto è, quindi, l’agevolatore della relazione col cane. Usa strumenti, tecniche, metodi che includono gli esercizi di training, ma che prevedano anche altro, come le tecniche di coaching in campo umano.

C’è chi dice che lei sia più un educatore di padroni che di cani. E’ d’accordo?
E’ un buon modo di cominciare a intendere la cosa: per seguire il mio metodo i proprietari devono mettersi in gioco per primi. Ma poi devono evolvere insieme al loro cane. Il punto di non ritorno lo hai quando realizzi che l’interazione con l’animale ha creato un'”entità terza”, qualcosa di più della somma di due individui. Questo tipo di realizzazione non è un concetto, la “sciura” Maria ha tante possibilità di sperimentarla quante ne ha il filosofo o lo scienziato. Non è la teoria a fare la differenza, ma un’esperienza opportunamente creata attraverso un’abile “architettura delle esperienze”.

Secondo lei quando è necessario rivolgersi a un educatore?
Già prima di adottare il cane. E’ incredibile quanti “guai” si possano evitare e quanta soddisfazione possano ricavare in più i proprietari se adottando in modo consapevole. Bisogna capire che il proprio stile di vita è congruente con certi tipi di carattere. Che le razze non portano con se solo estetica, ma anche tendenze comportamentali. E poi, non è mai troppo tardi: se il cane c’è già e l’educatore è in gamba, si imparano cose affascinanti, come comunicazione sottile, empatia, ascoltarsi a vicenda. Si dischiudono le porte quindi di un rapporto che diventa fra i più importanti e significativi della propria vita.

Cos’è esattamente “Think Dog”?
Letteralmente significa “pensare come pensa un cane”, guardare il mondo dalla sua prospettiva, mettersi nei suoi panni. Questo ci evita di aderire a teorie scientificamente infondate, come quella del capobranco, e ci permette invece di muoverci all’interno di buon senso, comprensione ed empatia. Think Dog è anche una scuola cinofila (www.thinkdog.it), un movimento culturale, un centro di formazione per istruttori e un network di professionisti del settore.

Quali sono, infine, i suoi progetti per il futuro?
Sto lavorando al mio prossimo libro, ma anche ad altre cose molto belle, che preferisco non anticipare. Aspettatevi, però, una grande ondata di buona cultura animale!

Foto by Aldo Martinelli

Redazione

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