Green Hill: condannati i tre dirigenti per “animalicidio”

Omicidio, o meglio, animalicidio. E’ l’accusa con la quale sono stati condannati tre dirigenti di Green Hill, l’ormai notissimo allevamento lombardo di cani beagle destinati alla sperimentazione, chiuso dopo anni di proteste animaliste nel luglio 2012 dalla Procura di Brescia. Queste le pene: un anno e sei mesi a Ghislane Rondot, co-gestore di Green Hill 2001 della Marshall Bioresources e della Marshall Farms Group, e Renzo Graziosi, veterinario. Un anno anche al direttore dell’allevamento Roberto Bravi. Assolto, invece, il secondo gestore Bernard Gotti per non aver commesso il fatto.

La sentenza della prima sezione penale del tribunale di Brescia ha infatti confermato le tesi del pubblico ministero Ambrogio Cassiani: ovvero che i cani, se malati, non venivano curati, ma soppressi brutalmente perché non più utili ai fini aziendali. Il tribunale ha anche deciso un risarcimento di 30.000 euro per la Lav (Lega anti vivisezione) disponendo il divieto per i condannati di allevare cani per i prossimi due anni. Un passo importantissimo nel nostro paese, che crea un precedente da non sottovalutare per tutti coloro che da anni lottano affinché la vita animale possa godere degli stessi diritti di quella umana.

Perché la storia di Green Hill è proprio la storia della mobilitazione del mondo animalista italiano che fino al 19 luglio 2012, giorno del sequestro dell’allevamento, ha organizzato diverse manifestazioni fuori dall’azienda di Montichiari in provincia di Brescia, alle quali hanno partecipato migliaia di persone. Il 29 aprile dello stesso anno, durante una di queste proteste, decine di manifestanti riuscirono a introdursi nell’allevamento e a liberare un centinaio di cuccioli e, sebbene, per quell’intrusione non autorizzata, vennero arrestate 12 persone, il clamore della vicenda portò poi a cambiare la legge e a rendere illegale in Italia l’allevamento di animali ai fini della sperimentazione medica. Oggi, dunque, è un giorno di festa per chi ama cani, gatti e loro simili, anche se gli avvocati dei dirigenti condannati, hanno già reso nota l’intenzione di fare ricorso in appello.

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