Purtroppo la storia di Excalibur, il cane dell’infermiera spagnola colpita dall’ebola, non ha avuto un lieto fine. L’animale è stato soppresso e poi cremato presso l’unità di Sicurezza biologica della facoltà di veterinaria dell’Università Complutense di Madrid. A nulla sono valse quindi le proteste degli animalisti, la mobilitazione del web e la richiesta del marito dell’infermiera, che si era appellato al governo per chiedere che il cane fosse salvato.
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Javier Limon Romero, marito di Teresa, aveva espresso martedì grossa preoccupazione per il cane, tenuto in isolamento in casa. Da solo, nell’appartamento, poteva contare su 15 chili di acqua e cibo, ma il padrone temeva che le autorità lo volessero abbattere: purtroppo non si sbagliava. Le autorità sanitarie hanno ritenuto che il cane fosse stato troppo tempo a stretto contatto con l’infermiera e temevano un possibile contagio. La possibilità di trasmissione dell’ebola dai cani agli esseri umani non è però confermata e il veterinario Peter Cowen, consigliere per la trasmissione di malattie da umani ad animali, ieri aveva affermato che “Penso che sia davvero spiacevole che stiano pensando di sopprimere quel cane, dovrebbero invece studiarlo. Non è mai stato documentata la diffusione dell’Ebola tramite i cani“.
Insomma, Excalibur si poteva salvare e fino all’ultimo ci hanno provato in molti: 300 mila persone hanno firmato una petizione, alcuni gruppi di animalisti hanno stazionato sotto la casa in cui era rinchiuso l’animale e su twitter è stato lanciata la campagna #salvamosaaExcalibur. Le autorità spagnole hanno però deciso di ignorare queste proteste ed andare avanti sopprimendo l’animale. Quello che lascia veramente perplessi è che sul cane non siano stati eseguiti esami diagnostici e che non sia stata presa in considerazione l’eventualità di una quarantena, per capire se l’animale fosse malato o meno.
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