Nestlè, la più grande multinazionale alimentare del mondo, ha annunciato che adotterà nuove pratiche negli allevamenti intensivi, eliminando del tutto alcuni trattamenti ritenuti spietati, insensibili e crudeli nei confronti degli animali allevati in batteria. In particolare saranno abolite le seguenti pratiche, attualmente considerate “standard“: galline ovaiole rinchiuse in gabbie, confinamento delle scrofe in gabbie di gestazione, vitelli rinchiusi in gabbie, crescita rapida e forzata dei polli utilizzati per la fabbricazione di prodotti a base di carne, taglio delle corna, della coda e dei genitali degli animali da allevamento senza la somministrazione di antidolorifici.
L’impegno assunto dalla Nestlè per migliorare il benessere degli animali da allevamento nella sua catena di fornitura deriva da un accordo di partnership con la Ong World Animal Protection (che da anni combatte le crudeltà nei confronti degli animali). Le centinaia di migliaia di aziende agricole che forniscono alla Nestlè latticini, carne, pollame e uova dovranno rispettare i nuovi e più severi standard di benessere degli animali; tra l’altro la Nestlè ha anche promosso il movimento globale “Niente carne il lunedì” tramite messaggio stampato sulla confezione di uno dei suoi prodotti alimentari pronti (Lean Cuisine non venduti in Italia).
È la prima volta, a livello mondiale, che una multinazionale alimentare sottoscrive un accordo simile con una ONG come la World Animal Protection, che per anni ha lavorato con governi, comunità e agenzie internazionali per migliorare il benessere degli animali e sensibilizzare l’opinione pubblica. Il Direttore Generale della World Animal Protection ha dichiarato al riguardo: “La nostra decisione di lavorare con Nestlè è dovuta al loro chiaro impegno di migliorare il benessere degli animali con un cambiamento duraturo che avrà effetti sulla vita di milioni di animali da allevamento in tutto il mondo“.
“Sappiamo – ha fatto eco il Responsabile Approvvigionamento della Nestlè, Benjamin Ware – che i nostri consumatori si preoccupano del benessere degli animali da allevamento e noi, come società, siamo impegnati a garantire i massimi livelli di benessere degli animali da allevamento in tutta la nostra catena di fornitura globale“. Nestlè utilizza circa 7300 fornitori da cui acquista prodotti di origine animale (latte per la produzione di yogurt e gelati; carne per i prodotti surgelati; uova per la pasticceria e per la pasta fresca). Ognuno di questi fornitori, a sua volta, acquista da altre aziende minori, che a questo punto saranno anche loro tenute a rispettare le nuove regole sull’allevamento. In pratica, dunque, questo accordo coinvolgerà, a livello mondiale, tantissime imprese agricole che direttamente o indirettamente forniscono materie prime alla Nestlè, con un (auspicabile) miglioramento delle condizioni degli animali.
La multinazionale ha inoltre incaricato una società di revisione esterna e indipendente, la SGS, di effettuare controlli su tutte le aziende sue fornitrici per garantire l’effettiva applicazione dei nuovi standard di allevamento. Laddove venisse ravvisata una violazione, Nestlè lavorerà a fianco del fornitore trasgressore per migliorare il trattamento degli animali presenti nel suo allevamento. Se, nonostante l’impegno e la guida della Nestlè, il fornitore non sarà in grado, o non vorrà adeguare le sue pratiche di allevamento allo standard richiesto, verrà escluso dalla Nestlè come fornitore.
Sotto pressione costante delle associazioni animaliste, tante multinazionali rinomate nei settori alimentare e della ristorazione hanno imposto ai loro fornitori di carne, uova e latte una scadenza precisa per eliminare le pratiche che vengono definite (giustamente) da attivisti e consumatori disumane. Per il momento, Burger King ha dichiarato che a partire dal 2015 acquisteranno le uova soltanto da allevamenti all’aperto e verranno ammessi soltanto produttori di carne suina che presentano un piano di smaltimento delle loro stalle gestazionali. McDonald’s, General Mills, Quiznos hanno dichiarato di avere dei piani simili, ma in moltissimi casi hanno concesso ai fornitori 10 anni o più per adeguare le loro fattorie alle nuove normative concordate. Questo piccolo passo non sarà sicuramente una soluzione ma già ammettere l’esistenza di un problema può aprire il dibattito per trovare una soluzione.
Comunicato World Animal Protection
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